Lost in Memories
Tutti i diritti riservati
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.
venerdì 20 luglio 2012
mercoledì 9 aprile 2008
Notte nell'anima
Il pensiero di Lei cresce in me come avido respiro di lieto veleno che brucia le mie vene....
e infiamma i miei desideri ponendo ristoro alla mia esile vita....
vorrei rincorrere la mia anima per respirare quel profumo di amata libertà...
vorrei confidare ciò che sono e guardar per almeno una volta il suo Volto per cosi carpire se nel suo cuore c'e spazio per me...non chiedo tanto solo un istante del suo battito mi darebbe vità...
Ah se il pensiero cosi frivolo e arrogante, in me si spegnesse potrei risalire dal baratro dell'incubo che mi segue come fido seggugio che avido brama il mio sapere...
Vorrei rinascere tra le amate braccia della mia terra cosi gelidà ma cosi calda, che ai suoi figli ha sempre donato forza e speranza...
tra le rime del sole inauguro un nuovo ego capace di lottare per ciò in cui crede senza venir limitato da false credenze, e da blasfemità...
ciò che su di me cala ogni di è lòa speranza di risorgere lieto, in un tramonto invernale ove il sole scaldera ciò che rimane del mio esile corpo....e con la speranza di poter sedermi al fianco di odino
nel brindar a ciò che son divenuto unito al suo pensiero...
e infiamma i miei desideri ponendo ristoro alla mia esile vita....
vorrei rincorrere la mia anima per respirare quel profumo di amata libertà...
vorrei confidare ciò che sono e guardar per almeno una volta il suo Volto per cosi carpire se nel suo cuore c'e spazio per me...non chiedo tanto solo un istante del suo battito mi darebbe vità...
Ah se il pensiero cosi frivolo e arrogante, in me si spegnesse potrei risalire dal baratro dell'incubo che mi segue come fido seggugio che avido brama il mio sapere...
Vorrei rinascere tra le amate braccia della mia terra cosi gelidà ma cosi calda, che ai suoi figli ha sempre donato forza e speranza...
tra le rime del sole inauguro un nuovo ego capace di lottare per ciò in cui crede senza venir limitato da false credenze, e da blasfemità...
ciò che su di me cala ogni di è lòa speranza di risorgere lieto, in un tramonto invernale ove il sole scaldera ciò che rimane del mio esile corpo....e con la speranza di poter sedermi al fianco di odino
nel brindar a ciò che son divenuto unito al suo pensiero...
domenica 10 febbraio 2008
Majestic Trees
The Principle of Evil.....the tale of the solitude of a tree in a lunar landscape
My father was a cloud and he taught me to fly
My mother was a northern wind and her cold kiss stand upon me
From the wind and the cloud came the storm
and the sky cried from a deep wound
bloody tears that brought me life
I'm the Light,endless one
I'm the Shadow,darker then the Night
I'm the Emperor of the Waste Land
But the Principle of Evil made me alone
As the leaves call the wind
I roamed,traveling my realm by thought
But the mind is blind and the heart like a stone
And I reached the Nothing Valley
I'm the Light,endless one
I'm the Shadow,blessed by the Dark
I'm the Emperor of The Dead Country
But the Principle of Evil made me alone
My solitude was my mate
in a sea so wide
the raft of knowledge was my guide
toward the flood of damnation
Because I'm the First One
And the Principle of the Truth Search made me Evil
And I met her...
My father was a cloud and he taught me to fly
My mother was a northern wind and her cold kiss stand upon me
From the wind and the cloud came the storm
and the sky cried from a deep wound
bloody tears that brought me life
I'm the Light,endless one
I'm the Shadow,darker then the Night
I'm the Emperor of the Waste Land
But the Principle of Evil made me alone
As the leaves call the wind
I roamed,traveling my realm by thought
But the mind is blind and the heart like a stone
And I reached the Nothing Valley
I'm the Light,endless one
I'm the Shadow,blessed by the Dark
I'm the Emperor of The Dead Country
But the Principle of Evil made me alone
My solitude was my mate
in a sea so wide
the raft of knowledge was my guide
toward the flood of damnation
Because I'm the First One
And the Principle of the Truth Search made me Evil
And I met her...
venerdì 1 febbraio 2008
Il Mare
-"Cinque e quattro!"
-"Doppio uno!"
-"Maledizione Sethi, possa Ermes rubarti la lingua e seccarti le chiappe!!"
L'egiziano ridacchiando si prese la puntata e la portò a sè:
ormai aveva vinto così tanto che una montagnola luccicante quasi lo schermava
dalla vista di Casumanna.
Il sicano era seduto a capo chino davanti a lui. Le enormi mani giocherellavano
nervosamente con l'ultimo denaro rimasto. Lo gettò in direzione dell'oste.
-"Da bere!", urlò a gran voce.
Quasi subito un uomo con un grembiule sporco
si affrettò a servirlo.
Di fronte a lui Sethi lo guardava con preoccupazione. Era davvero di gran lunga
l'uomo più grosso e forte che avesse mai visto.
La grossa testa era incorniciata da una folta ed ispida barba nera e i capelli neri come la pece era raccolti in una lunga coda.Ma ciò che impressionava più della testa, che era sorretta da un collo taurino largo come la vita di un fanciullo, erano le braccia, grosse come le zampacce di un orso. Si raccontava che una volta, quando era più giovane, era caduto in mare aperto durante una tempesta ed era stato attaccato da un pesce-martello lungo quasi sei braccia: Casumanna gli aveva staccato la testa con le sue mani dalla presa d'acciaio, e ne aveva mangiato almeno metà prima di decidere che era meglio cominciare a nuotare verso la costa.
Questo era Casumanna il sicano.
-"Voglio provare un'ultima volta", disse Casumanna bevendosi il suo boccale tutto
d'un fiato, "Scommetterò la mia nave e tutto quello che c'è dentro".
-"Lascia perdere, hai già perso abbastanza, e poi non cred...".
Con uno schianto Casuamanna scaraventò il tavolo di lato. Una decina di bicchieri
vuoti andarono in frantumi, la montagnola di denari si sparpagliò per il pavimento.
Casumanna si sedette per terra e tirò un'ultima volta i dadi. A sua volta
Sethi,deglutendo,tirò i suoi.
-"Doppio uno!"
-"Due e uno".
Il volto del sicano era paonazzo, quello dell'egiziano sudava abbondantemente.
Il marinaio fece per avvicinarsi, l'altro svenne.
-"Doppio uno!"
-"Maledizione Sethi, possa Ermes rubarti la lingua e seccarti le chiappe!!"
L'egiziano ridacchiando si prese la puntata e la portò a sè:
ormai aveva vinto così tanto che una montagnola luccicante quasi lo schermava
dalla vista di Casumanna.
Il sicano era seduto a capo chino davanti a lui. Le enormi mani giocherellavano
nervosamente con l'ultimo denaro rimasto. Lo gettò in direzione dell'oste.
-"Da bere!", urlò a gran voce.
Quasi subito un uomo con un grembiule sporco
si affrettò a servirlo.
Di fronte a lui Sethi lo guardava con preoccupazione. Era davvero di gran lunga
l'uomo più grosso e forte che avesse mai visto.
La grossa testa era incorniciata da una folta ed ispida barba nera e i capelli neri come la pece era raccolti in una lunga coda.Ma ciò che impressionava più della testa, che era sorretta da un collo taurino largo come la vita di un fanciullo, erano le braccia, grosse come le zampacce di un orso. Si raccontava che una volta, quando era più giovane, era caduto in mare aperto durante una tempesta ed era stato attaccato da un pesce-martello lungo quasi sei braccia: Casumanna gli aveva staccato la testa con le sue mani dalla presa d'acciaio, e ne aveva mangiato almeno metà prima di decidere che era meglio cominciare a nuotare verso la costa.
Questo era Casumanna il sicano.
-"Voglio provare un'ultima volta", disse Casumanna bevendosi il suo boccale tutto
d'un fiato, "Scommetterò la mia nave e tutto quello che c'è dentro".
-"Lascia perdere, hai già perso abbastanza, e poi non cred...".
Con uno schianto Casuamanna scaraventò il tavolo di lato. Una decina di bicchieri
vuoti andarono in frantumi, la montagnola di denari si sparpagliò per il pavimento.
Casumanna si sedette per terra e tirò un'ultima volta i dadi. A sua volta
Sethi,deglutendo,tirò i suoi.
-"Doppio uno!"
-"Due e uno".
Il volto del sicano era paonazzo, quello dell'egiziano sudava abbondantemente.
Il marinaio fece per avvicinarsi, l'altro svenne.
Il Tiglio
"-Chi è o padre?".
Il piccolo Decio si spinse in avanti per guardare meglio la statua di bronzo: portava già i segni del tempo, ma era ancora imponente e maestosa.
"-E' Annibale, il cartaginese vincitore dei Romani a Cannae, sul fiume Trebbia, e vicino al lago Trasimeno....." rispose il padre seduto sul triclinum...
Teneva Decio, che non aveva ancora compiuto sei anni, accoccolato sulle sue gambe.
Gli occhi di Quintiliano si illuminarono: era originario della città di Carthago Nova.
Sebbene Annibale fosse vissuto molti anni prima, non era stato dimenticato da quelli che , come lui, ne sentivano scorrere il sangue nelle vene.
Anzi, in qualche modo Quintiliano ne era imparentato, forse da un ramo parallelo della famiglia Barca.
Quintiliano Amilcare Barca....l'Iberico pensava che suonasse proprio bene.
Decio intanto stava contemplando in silenzio i tratti giovanili della statua di bronzo.
"-Padre, lui era il capo dei cartaginesi?"
"-Il più grande, figlio mio..."
"-Ed era un nemico?"
"-Era un avversario....egli voleva le stesse cose che vogliamo noi ma in maniera diversa...-
Una fresca brezza entrò dalla finestra portando con se il verso di quegli uccellini che cantavano non rassegnandosi alla fine dell'estate....
"-Padre, però lui era cattivo!"
Marzio rise sommessamente; la sua forte ma gentile tirò a sè il figlio, lo abbracciò e cominciò ad accarezzargli la testa.
-" No figliolo, non ci sono nè buoni nè cattivi, ma solo persone degne e indegne..."
Contrasse le labbra in una smorfia.
"-O almeno un tempo era così. Annibale combattè duramente in molte battaglie e si rivelò un avversario fortissimo: soltanto il genio di Scipione e la forza di Roma riuscirono a sconfiggerlo."
Il tono di Marzio era tornato serio: Decio aveva un'espressione stupita, Marzio lo guardava negli occhi. Quintiliano da dietro il triclinum ascoltava senza aprir bocca ma con attenzione....
"-E se avesse vinto lui?"
Marzio si voltò lentamente: appoggiò delicatamente il figlio per terra e si alzò.Scostò una tenda e guardò silenziosamente il giardino al di fuori della Domus Aquilarum.
Era ormai autunno e le foglie si stavano ingiallendo.
Marzio stava guardando con un pò di tristezza il tiglio che si ergeva in giardino: non era che la controfigura del monumento che in estate dominava il prato.
Il profumo dei suoi fiori, un tempo eccezionale, ormai si percepiva appena nell'aria.
Marzio respirò profondamente socchiudendo gli occhi.
Gli tornarono in mente immagini di battaglie vinte e perse, volti di uomini che avevano reso immortale la gloria di Roma, di uomini che avevano ubbidito e sperato, di uomini che avevano tradito , di uomini uccisi e di campagne bruciate.
Restò a lungo così, immobile e in silenzio mentre il figliolo lo guardava incuriosito.
Quintiliano che comprendeva l'imbarazzo del padrone, gli si avvicinò e gli sorrise:
Marzio si voltò e sorrise a sua volta.
"-Forse se avesse vinto Annibale, sarei il liberto di Quintiliano e non viceversa."
I due uomini cominciarono a ridere: Decio si incupì e rimase a guardarli perplesso.
Il piccolo Decio si spinse in avanti per guardare meglio la statua di bronzo: portava già i segni del tempo, ma era ancora imponente e maestosa.
"-E' Annibale, il cartaginese vincitore dei Romani a Cannae, sul fiume Trebbia, e vicino al lago Trasimeno....." rispose il padre seduto sul triclinum...
Teneva Decio, che non aveva ancora compiuto sei anni, accoccolato sulle sue gambe.
Gli occhi di Quintiliano si illuminarono: era originario della città di Carthago Nova.
Sebbene Annibale fosse vissuto molti anni prima, non era stato dimenticato da quelli che , come lui, ne sentivano scorrere il sangue nelle vene.
Anzi, in qualche modo Quintiliano ne era imparentato, forse da un ramo parallelo della famiglia Barca.
Quintiliano Amilcare Barca....l'Iberico pensava che suonasse proprio bene.
Decio intanto stava contemplando in silenzio i tratti giovanili della statua di bronzo.
"-Padre, lui era il capo dei cartaginesi?"
"-Il più grande, figlio mio..."
"-Ed era un nemico?"
"-Era un avversario....egli voleva le stesse cose che vogliamo noi ma in maniera diversa...-
Una fresca brezza entrò dalla finestra portando con se il verso di quegli uccellini che cantavano non rassegnandosi alla fine dell'estate....
"-Padre, però lui era cattivo!"
Marzio rise sommessamente; la sua forte ma gentile tirò a sè il figlio, lo abbracciò e cominciò ad accarezzargli la testa.
-" No figliolo, non ci sono nè buoni nè cattivi, ma solo persone degne e indegne..."
Contrasse le labbra in una smorfia.
"-O almeno un tempo era così. Annibale combattè duramente in molte battaglie e si rivelò un avversario fortissimo: soltanto il genio di Scipione e la forza di Roma riuscirono a sconfiggerlo."
Il tono di Marzio era tornato serio: Decio aveva un'espressione stupita, Marzio lo guardava negli occhi. Quintiliano da dietro il triclinum ascoltava senza aprir bocca ma con attenzione....
"-E se avesse vinto lui?"
Marzio si voltò lentamente: appoggiò delicatamente il figlio per terra e si alzò.Scostò una tenda e guardò silenziosamente il giardino al di fuori della Domus Aquilarum.
Era ormai autunno e le foglie si stavano ingiallendo.
Marzio stava guardando con un pò di tristezza il tiglio che si ergeva in giardino: non era che la controfigura del monumento che in estate dominava il prato.
Il profumo dei suoi fiori, un tempo eccezionale, ormai si percepiva appena nell'aria.
Marzio respirò profondamente socchiudendo gli occhi.
Gli tornarono in mente immagini di battaglie vinte e perse, volti di uomini che avevano reso immortale la gloria di Roma, di uomini che avevano ubbidito e sperato, di uomini che avevano tradito , di uomini uccisi e di campagne bruciate.
Restò a lungo così, immobile e in silenzio mentre il figliolo lo guardava incuriosito.
Quintiliano che comprendeva l'imbarazzo del padrone, gli si avvicinò e gli sorrise:
Marzio si voltò e sorrise a sua volta.
"-Forse se avesse vinto Annibale, sarei il liberto di Quintiliano e non viceversa."
I due uomini cominciarono a ridere: Decio si incupì e rimase a guardarli perplesso.
Il Leone in gabbia
"Di nuovo?"
Il possente nubiano guardò con malinconia la veloce nave cilicia
avvicinarsi alla prua dell'Assuan. Un pirata dall'espressione patibolare
guidava l'assalto alla quinquereme egiziana: una ventina di uomini
la assaltarono portando lo sgomento a bordo. La scorta composta da sei
soldati fu sopraffatta in poco tempo: tre furono uccisi,gli altri furono
disarmati.
T'harmun guardava stupefatto Samir e le sue accolite: il volto del
sacerdote,ormai non più giovane era bianco di paura e tremava.Troppo.
"Un figlio di Basteth" pensò,"non dovrebbe aver paura della morte".
Intanto i pirati, sgombrato il ponte dai cadaveri,rinfoderarono i coltelli.
Al nubiano non passò inosservato il viscido sguardo che il capo dei pirati
rivolse alle due accolite; loro si strinsero all'anziano sacerdote che intanto
aveva recuperato la sua marziale compostezza.
Thar'mun spostava alternatamente lo sguardo dal sacerdote ai pirati: per il momento nessuno aveva rivolto
la benchè minima occhiata a lui e agli altri schiavi.
Poi lo vide: un uomo grasso e tarchiato con una barbetta rada e due occhi
piccoli e scuri. Un sorriso beffardo gli deformava il volto. Si diresse sicuro
fino ad arrivare davanti al sacerdote; Samir sgranò gli occhi riconoscendolo:
-"Jusuf !?"
-"In persona, servitore della felina meretrice".
-"Tu lurido cane..."cominciò l'egizio,ma poi si fermò, tirò un sospiro e prese
fra le dita il suo talismano che gli era stato donato quando era diventato apprendista al tempio di Per Bastet o Bubasti come la chiamavano le genti dalla Grecia....
I pirati si stavano strigendo attorno al terzetto.
-"Cosa vuoi, Jusuf?",disse infine.
-"Da te niente, o misero scriba, ma dalle tue figlie..."
Samir scattò in avanti cercando di colpirlo con un pugno ma un poderoso colpo
alla schiena lo fece cadere a faccia in giù.
La maggiore delle due accolite fece per aiutarlo a rialzarsi ma delle braccia muscolose la bloccarono...
-" E poi sei troppo vecchio, non mi daranno neanche un sesterzo per un uomo
di oltre sessant'anni".
Il sacerdote rantolò qualcosa; le due figlie cominciarono ad urlare:
nel frattempo Jusuf stava tornando sulla sua nave.
Fece un cenno con la testa al capo dei pirati, che rispose con un ghigno.
-"Fare del male a un sacerdote è un sacrilegio...è una blasfemia e ne dovrai render conto agli Dei!", disse l'anziano alzando la testa da terra di quel tanto che bastava per vedere Jusuf che si allontanava.
Il siriano si fermò: rise sguaiatamente senza voltarsi.
-"E allora pregali perchè vengano a salvarti la vita".
Poi ci fu il sibilo di una lama e la testa di Samir rotolò avanti.
.........................
"-Arrivati.... Uscite per due e non fate scherzi..... Vi costerebbe caro e costerebbe caro anche al Siriano".
Le parole del guardiano cilicio della stiva del mercantile, carico di schiavi, erano cariche di sprezzo.
Il boccaporto si aprì, e la luce di una torcia morse come un serpente gli occhi di T'harmun mentre saliva la scaletta.
Ci volle un bel pezzo prima che capisse dove si trovava: era in un porto,un porto di pietra.Il più grande che avesse visto dopo Alessandria.
"-Ci attende una vita breve ma intensa..."
T'harmun si volto'.
Un grosso Numida incatenato al paio con lui l'aveva pronunciata con un misto di tristezza e rabbia.
"-Che intendi dire? Forse che pulire le latrine di qualche signorotto italico ti sembra intenso?" replico'.
"-Tu non hai capito nulla, fratello ; credi che i nostri muscoli servano a rendere lucido il marmo? Sara' il tuo sangue sulla sabbia del campo di battaglia a essere pagato...-
T'harmun rimase immobile. Un sottile filo di fumo usciva denso da un comignolo poco piu' avanti: era nero come la notte ma poco a poco, volteggiando, comincio' a sbiadirsi contorcendosi fino a perdersi nel cielo autunnale ...
Ad un tratto gli fu chiaro: i giochi. I tanto famigerati giochi che i romani amavano e consideravano, nei quali una folla sguaiata si radunava per vedere combattere e morire decine e decine di persone...
Thar'mun inspirò profondamente e contrasse con forza le sue mani da cacciatore......si sforzò di immaginare il volto della moglie e dei figli per un'ultima volta....forse
Si chinò ed estrasse un piccolo punteruolo dallo stivale, nascosto talmente bene che nè gli egiziani nè i cilici lo avevano trovato....
Inspirò di nuovo pensando alla Dea Bastet e poi scattò come una pantera verso il guardiano cilicio che ebbe solo il tempo di emettere un grido strozzato prima di cadere al suolo.
Rapidamente il mazzo di chiavi dei ceppi passò di mano in mano e gli schiavi furono liberi mentre il Nubiano assalì il nemico più vicino....
I soldati romani di stanza al porto stavano accorrendo in gran numero mentre la rivolta divampava per tutto il porto....
Forse Thar'mun non avrebbe visto il giorno dopo...ma nessuno lo avrebbe tenuto come un leone in gabbia...
Il possente nubiano guardò con malinconia la veloce nave cilicia
avvicinarsi alla prua dell'Assuan. Un pirata dall'espressione patibolare
guidava l'assalto alla quinquereme egiziana: una ventina di uomini
la assaltarono portando lo sgomento a bordo. La scorta composta da sei
soldati fu sopraffatta in poco tempo: tre furono uccisi,gli altri furono
disarmati.
T'harmun guardava stupefatto Samir e le sue accolite: il volto del
sacerdote,ormai non più giovane era bianco di paura e tremava.Troppo.
"Un figlio di Basteth" pensò,"non dovrebbe aver paura della morte".
Intanto i pirati, sgombrato il ponte dai cadaveri,rinfoderarono i coltelli.
Al nubiano non passò inosservato il viscido sguardo che il capo dei pirati
rivolse alle due accolite; loro si strinsero all'anziano sacerdote che intanto
aveva recuperato la sua marziale compostezza.
Thar'mun spostava alternatamente lo sguardo dal sacerdote ai pirati: per il momento nessuno aveva rivolto
la benchè minima occhiata a lui e agli altri schiavi.
Poi lo vide: un uomo grasso e tarchiato con una barbetta rada e due occhi
piccoli e scuri. Un sorriso beffardo gli deformava il volto. Si diresse sicuro
fino ad arrivare davanti al sacerdote; Samir sgranò gli occhi riconoscendolo:
-"Jusuf !?"
-"In persona, servitore della felina meretrice".
-"Tu lurido cane..."cominciò l'egizio,ma poi si fermò, tirò un sospiro e prese
fra le dita il suo talismano che gli era stato donato quando era diventato apprendista al tempio di Per Bastet o Bubasti come la chiamavano le genti dalla Grecia....
I pirati si stavano strigendo attorno al terzetto.
-"Cosa vuoi, Jusuf?",disse infine.
-"Da te niente, o misero scriba, ma dalle tue figlie..."
Samir scattò in avanti cercando di colpirlo con un pugno ma un poderoso colpo
alla schiena lo fece cadere a faccia in giù.
La maggiore delle due accolite fece per aiutarlo a rialzarsi ma delle braccia muscolose la bloccarono...
-" E poi sei troppo vecchio, non mi daranno neanche un sesterzo per un uomo
di oltre sessant'anni".
Il sacerdote rantolò qualcosa; le due figlie cominciarono ad urlare:
nel frattempo Jusuf stava tornando sulla sua nave.
Fece un cenno con la testa al capo dei pirati, che rispose con un ghigno.
-"Fare del male a un sacerdote è un sacrilegio...è una blasfemia e ne dovrai render conto agli Dei!", disse l'anziano alzando la testa da terra di quel tanto che bastava per vedere Jusuf che si allontanava.
Il siriano si fermò: rise sguaiatamente senza voltarsi.
-"E allora pregali perchè vengano a salvarti la vita".
Poi ci fu il sibilo di una lama e la testa di Samir rotolò avanti.
.........................
"-Arrivati.... Uscite per due e non fate scherzi..... Vi costerebbe caro e costerebbe caro anche al Siriano".
Le parole del guardiano cilicio della stiva del mercantile, carico di schiavi, erano cariche di sprezzo.
Il boccaporto si aprì, e la luce di una torcia morse come un serpente gli occhi di T'harmun mentre saliva la scaletta.
Ci volle un bel pezzo prima che capisse dove si trovava: era in un porto,un porto di pietra.Il più grande che avesse visto dopo Alessandria.
"-Ci attende una vita breve ma intensa..."
T'harmun si volto'.
Un grosso Numida incatenato al paio con lui l'aveva pronunciata con un misto di tristezza e rabbia.
"-Che intendi dire? Forse che pulire le latrine di qualche signorotto italico ti sembra intenso?" replico'.
"-Tu non hai capito nulla, fratello ; credi che i nostri muscoli servano a rendere lucido il marmo? Sara' il tuo sangue sulla sabbia del campo di battaglia a essere pagato...-
T'harmun rimase immobile. Un sottile filo di fumo usciva denso da un comignolo poco piu' avanti: era nero come la notte ma poco a poco, volteggiando, comincio' a sbiadirsi contorcendosi fino a perdersi nel cielo autunnale ...
Ad un tratto gli fu chiaro: i giochi. I tanto famigerati giochi che i romani amavano e consideravano, nei quali una folla sguaiata si radunava per vedere combattere e morire decine e decine di persone...
Thar'mun inspirò profondamente e contrasse con forza le sue mani da cacciatore......si sforzò di immaginare il volto della moglie e dei figli per un'ultima volta....forse
Si chinò ed estrasse un piccolo punteruolo dallo stivale, nascosto talmente bene che nè gli egiziani nè i cilici lo avevano trovato....
Inspirò di nuovo pensando alla Dea Bastet e poi scattò come una pantera verso il guardiano cilicio che ebbe solo il tempo di emettere un grido strozzato prima di cadere al suolo.
Rapidamente il mazzo di chiavi dei ceppi passò di mano in mano e gli schiavi furono liberi mentre il Nubiano assalì il nemico più vicino....
I soldati romani di stanza al porto stavano accorrendo in gran numero mentre la rivolta divampava per tutto il porto....
Forse Thar'mun non avrebbe visto il giorno dopo...ma nessuno lo avrebbe tenuto come un leone in gabbia...
Il Guerriero
La nave nordica era ormai in balia della tempesta.
Alcuni uomini erano già scomparsi tra i flutti.
Grem Fjellet era ancora saldamente aggrappato al timone consapevole del destino che
lo aspettava.
Le onde spazzavano il ponte e all'orizzonte poteva scorgerne una, grigia come il metallo ghiacciato, la più grande che avesse mai visto.
Era da più di trenta lune che erano partiti per una rotta a loro sconosciuta,
guidati da quella visione di una vecchia: visione che sembrava volgere al termine.
Corileth esile si stagliava sulla prua, ancora legata da pesanti catene come una foglia tra i venti.
Il vento impetuoso quasi le strappava le vesti di dosso e metteva in evidenza il suo giovane corpo...di tanto in tanto il marchio dei Dannati, impresso a fuoco sopra il suo seno sinistro, faceva capolino tra il turbine dei venti.
Grem Fjellet si sorprese a fissarla tra gli spruzzi delle onde, e per un attimo il tempo gli si fermò davanti agli occhi...
Un forte urto, che quasi lo fece cadere a faccia in giù, lo riportò rapidamente alla realtà....
Corileth da prua, urlò con tutta la voce che aveva in corpo, ma il grido fu rubato dalla tempesta
A Grem sfiorò il pensiero che forse Corileth era innocente.......forse
Riusciva addirittura a pensare alla vita di un altro in un momento del genere. Lui che quasi ogni decade falciava vite su vite con la sua ascia a due mani ora ........
Non pensava solo a lei naturalmente....
L'aria fredda e sferzante gli dava l'idea dell'inizio di una battaglia e Grem sentiva a poco a poco la ragione abbandonarlo...
Gli capitava sempre in battaglia....
Il più delle volte dopo il terzo o quarto colpo ricevuto il cervello si spegneva come una torcia consumata e Grem cominciava a colpire qualsiasi cosa gli stesse attorno con una furia animalesca...
I suoi compagni , che lo conoscevano bene, lo chiamavano Danza di Morte.....
Ed anche adesso , di fronte alla tempesta, la danza stava cominciando...
Un insano e feroce senso di euforia lo pervase...urlò a squarciagola nella lingua dei suoi antenati e levò l'ascia al cielo come a volere sfidare la montagna d'acqua.
Poi con un boato l'onda colpì la nave e divenne tutto buio.
......
Il sole stava scomparendo oltre l'orizzonte; distante, Corileth, la lunga veste azzurra ormai ridotta ad uno straccio, si muoveva con sicurezza solcando lievemente la sabbia di un'arida spiaggia con i suoi piedi nudi.
L'ultima cosa che Grem vide prima di svenire furono i pochi resti del drakkar trasportati sulla riva.
Alcuni uomini erano già scomparsi tra i flutti.
Grem Fjellet era ancora saldamente aggrappato al timone consapevole del destino che
lo aspettava.
Le onde spazzavano il ponte e all'orizzonte poteva scorgerne una, grigia come il metallo ghiacciato, la più grande che avesse mai visto.
Era da più di trenta lune che erano partiti per una rotta a loro sconosciuta,
guidati da quella visione di una vecchia: visione che sembrava volgere al termine.
Corileth esile si stagliava sulla prua, ancora legata da pesanti catene come una foglia tra i venti.
Il vento impetuoso quasi le strappava le vesti di dosso e metteva in evidenza il suo giovane corpo...di tanto in tanto il marchio dei Dannati, impresso a fuoco sopra il suo seno sinistro, faceva capolino tra il turbine dei venti.
Grem Fjellet si sorprese a fissarla tra gli spruzzi delle onde, e per un attimo il tempo gli si fermò davanti agli occhi...
Un forte urto, che quasi lo fece cadere a faccia in giù, lo riportò rapidamente alla realtà....
Corileth da prua, urlò con tutta la voce che aveva in corpo, ma il grido fu rubato dalla tempesta
A Grem sfiorò il pensiero che forse Corileth era innocente.......forse
Riusciva addirittura a pensare alla vita di un altro in un momento del genere. Lui che quasi ogni decade falciava vite su vite con la sua ascia a due mani ora ........
Non pensava solo a lei naturalmente....
L'aria fredda e sferzante gli dava l'idea dell'inizio di una battaglia e Grem sentiva a poco a poco la ragione abbandonarlo...
Gli capitava sempre in battaglia....
Il più delle volte dopo il terzo o quarto colpo ricevuto il cervello si spegneva come una torcia consumata e Grem cominciava a colpire qualsiasi cosa gli stesse attorno con una furia animalesca...
I suoi compagni , che lo conoscevano bene, lo chiamavano Danza di Morte.....
Ed anche adesso , di fronte alla tempesta, la danza stava cominciando...
Un insano e feroce senso di euforia lo pervase...urlò a squarciagola nella lingua dei suoi antenati e levò l'ascia al cielo come a volere sfidare la montagna d'acqua.
Poi con un boato l'onda colpì la nave e divenne tutto buio.
......
Il sole stava scomparendo oltre l'orizzonte; distante, Corileth, la lunga veste azzurra ormai ridotta ad uno straccio, si muoveva con sicurezza solcando lievemente la sabbia di un'arida spiaggia con i suoi piedi nudi.
L'ultima cosa che Grem vide prima di svenire furono i pochi resti del drakkar trasportati sulla riva.
Iscriviti a:
Post (Atom)